domenica 23 agosto 2020

Cren

 Riporto da “il Giornale di Vicenza” del 15 febbraio 2009 

“Come il crepitìo degli sci sulla pista ghiacciata o il rumore gracchiante del gesso sulla lavagna. Cren: l’onomatopeico apostrofo acidulo tra le parole “carne” e “lessata” era accompagnamento irrinunciabile di certi secondi, soprattutto degli ossi de màs-cio o del cotechino. Una sferzata di sgrassante ottimismo iniettata nei solchi pastosi delle pietanze principali.
Ma quanta fatica per arrivare a metterlo in tavola! Tra gli ortaggi di casa non mancavanomai le piante di cren (rafano o barbaforte, secondo l’accezione italiana) e vari erano i modi per coltivarlo. Il più diffuso nel Vicentino era quello di scavare in profondità un solco e di sistemarvi pezzi di radice di circa 5 centimetri; trascorso il tempo necessario, le radici si sviluppavano e, nei mesi con la “r” – preferibilmente però tra novembre e febbraio – si levavano, pulivano e grattugiavano. E qui veniva il bello: chi non è più giovanissimo ricorderà i volti sdruciti e rigati di lacrime della mamma o del babbo di turno sul quale ricadeva l’ingrato compito di passare la radice su e giù per la grattugia, dando il la a un persistente stato di agitazione oftalmica.
Terminata, con spreco di fazzoletti e ferme rassicurazioni (“Cosa galo Menego? Ghe xe morto el gato? No, el gà ‘pena finìo de gratare el cren”) la seconda, delicata fase, il cren veniva posto in vasetti di vetro, in compagnia di aceto e sale. Talvolta se ne consumava anche la radice sminuzzata, sempre condita con aceto. Non solo: la medicina popolare lo includeva anche tra i rimedi pret-a-porter per dolori muscolari, sciatica e lombalgie varie.
Che ne è oggi del cren? Sopravvive in piccole produzioni industriali che tuttavia col sapore del prodotto di una volta poco hanno a che fare, mentre sempre più rare sono le coltivazioni artigianali o casalinghe. Un po’ perché i tempi cambiano eanche il cren subisce il declassamento nel reparto antiquariato, un po’ perché soppiantato da parenti che rispondono al nome molto più cool di mostarda, senape o vinaigrette. Ma qualche ristorante di ampie veduteancora si fila questo saporito accompagnamento il cui nome, diffuso in tutte le Tre Venezie, giunge nel nostro vocabolario attraverso il germanico Kren, termine a sua volta derivato dal ceco (probabile patria d’origine anche della pianta).
Lontano dalle dolci acidità della mostarda, dalla cremosa quanto aspra texture della senape e diverso nello spirito dalla transalpina sofisticatezza della vinaigrette, il cren rivendica la sua ruvida autonomia di genuino prodotto della terra e come tale andrebbe riscoperto. Pochi sono ancora disposti a piangere per lui, ma nel suo piccolo è un pezzo della nostra storia contadina: perché dimenticarlo?”


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