Avvenire 14/02/2010, Pagina A02
CHE COSA INSEGNA L’ESPERIENZA VENETA
Anche il dialetto aiuta gli stranieri a costruire integrazione
GABRIELLA SARTORI
ntegrazione degli immigrati: difficile, ma necessaria.
I Il tema resta all’ordine del giorno, non solo in Italia ma in tutta Europa. Le ricette sono molte.
Vedi quella elaborata dal governo francese, alle prese con una delle percentuali più alte di immigrati di cultura islamica la cui integrazione è particolarmente difficoltosa. A fronte dello spinoso problema, il governo Sarkozy propone, tra l’altro, il rispetto di un paio di 'obblighi': la presenza in tutte le classi scolastiche della Dichiarazione universale dei diritti, perno fondamentale su cui riposa l’esistenza stessa della République, e l’obbligo per tutti gli studenti di imparare l’inno nazionale, la 'Marsigliese', e di cantarlo almeno una volta all’anno. La proposta pare sgradita a molti islamici, pur apparentemente 'integrati'. Lavoriamo, paghiamo le tasse, hanno fatto sapere, ma la 'Marsigliese' no, non vogliamo impararla.
Scuola e inno nazionale comuni a tutti: chiunque, anche nel passato, si sia cimentato col problema dell’integrazione in uno stesso Stato fra popoli diversi per lingua, costumi, religione, mentalità, se n’è occupato.
Vedi il caso dell’imperial-regio governo austriaco che per far sentire 'uniti' tutti i suoi sudditi appartenenti ad un mosaico interetnico fra i più variegati (e rissosi) della storia, riuscì nell’intento imponendo a tutti l’istruzione obbligatoria e il canto quotidiano in classe dell’inno nazionale. Con la concessione, davvero lungimirante per i tempi e per i luoghi, che ogni popolo potesse cantarlo nella lingua d’origine: stesso testo (inneggiante all’imperial-regia monarchia), stessa (bellissima) musica uguale per tutti, ma ognuno poteva cantarlo nella propria lingua madre (tedesco, italiano, slavo, ungherese, ecc). Un’idea certo non integralmente applicabile ai giorni nostri, ma che indica una linea politica di integrazione innegabilmente intelligente. Che diede a lungo i suoi frutti di cui ancora oggi si apprezza il valore.
Restando in tema di lingua e lingue, e tornando all’attualità, sta facendo discutere la 'ricetta' veneta: l’uso del dialetto come mezzo privilegiato di integrazione. E non sono chiacchiere: una documentatissima indagine condotta dall’istituto 'Quaeris' nella provincia di Treviso (che sta al top della classifica italiana per la percentuale di immigrati residenti e per il tasso di integrazione), rivela che la percentuale dei 'nuovi veneti' che parla il dialetto raggiunge ben il 64,9% degli studenti e il 31,3% dei lavoratori. Di questi studenti, a casa, oltre il 75% parla con i familiari nella lingua d’origine, ma 'con gli amici' e 'a scuola' oltre l’85% usa quotidianamente il veneto. E i lavoratori? Ben l’83,4% parla veneto con 'i vicini di casa' mentre addirittura il 94,4% di loro lo usa 'sui luoghi di lavoro'. La cosa piace anche ai neurolinguisti: chi cresce conoscendo il dialetto oltre alla lingua (meglio se due) ha la fortuna di formarsi un cervello bi o tri lingue, predisposto cioè ad apprender meglio e più in fretta anche ulteriori lingue straniere.
L’uso del veneto «rende più spontanei i rapporti, fa sentire veneti», gente familiare insomma. Lo spiega Rina Biz, già 'anima' e presidente onoraria della cooperativa ad ispirazione cristiana 'Insieme si può', oggi presieduta da Annita Leuratti. Giunta ai 25 anni di vita dedicati al sostegno e al recupero di persone variamente 'fragili' (malati, anziani, deboli mentali. ecc.), la cooperativa conta 1.100 iscritti, per il 93% donne. L’uso del veneto, spiegano ad 'Insieme si può', diventa fondamentale soprattutto in certi ambiti di lavoro, specie edilizio e socio-sanitario (infermieri/e, badanti in famiglie e case di riposo. ecc.). E dunque, la ricetta veneta per l’integrazione degli stranieri merita di esser presa in considerazione: per gli invidiabili risultati conseguiti, innanzitutto. Ma anche per il modo attraverso il quale li si ottiene: gli stranieri vanno visti subito come i 'nuovi veneti', tanto è vero che possono imparare subito la lingua che si usa in casa, al lavoro e con gli amici. A patto di crederci. Perché: 'Insieme si può'. E si vede.
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