giovedì 4 febbraio 2010

IPOTESI D’USCITA DALLA PARALISI (Avvenire)

Avvenire 03/02/2010, Pagina A02

IPOTESI D’USCITA DALLA PARALISI ( O ULTIMA SPIAGGIA)
E se la nuova giustizia fosse un frutto d’Europa?

FRANCESCO D’AGOSTINO

C
aro direttore, anche se non è stata assolutamente compatta, la protesta dei magistrati in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario ha espresso in modo inequivocabile una frattura nelle istituzioni del nostro Paese difficilmente ricomponibile e tale, comunque evolva la situazione, da peggiorare la nostra convivenza civile, già per tante altre ragioni fragile e compromessa. Che così stiano effettivamente le cose è stato sottolineato da tutti i commentatori, anche se pochi hanno rilevato che questa frattura viene da lontano e che le sue responsabilità vanno addebitate a entrambe le parti in conflitto, anche se con diverse accentuazioni. È dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso che la magistratura si è nutrita (e continua a nutrirsi) di una visione arbitraria delle proprie funzioni istituzionali, percepite, implicitamente se non esplicitamente, come propriamente politiche e giustificate, con arditi equilibrismi ideologici, con riferimenti alla Costituzione, tanto appassionati quanto incongrui (e questo spiega il fatto che la protesta posta in essere dai magistrati in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario sia stata condita da una vistosa esibizione mediatica della nostra Costituzione). Per capire la mutazione genetica che ha contrassegnato la magistratura italiana negli ultimi decenni bisogna riportare alla memoria l’espressione «uso alternativo del diritto», che cominciò ad essere usata nel 1973 per indicare modalità di interpretazione e di applicazione della legislazione vigente volte ad alterare, per via non parlamentare e violando quindi il primato democratico del Parlamento, gli equilibri sociali del Paese. Questa espressione non è oggi così diffusa come lo era qualche decennio fa, soprattutto nei dibattiti ideologici e dottrinali; essa però sembra che sia stata profondamente assimilata dai magistrati e che sia entrata a far parte, per dir così, della loro psicologia, inducendoli a trasformare il principio costituzionale, secondo il quale essi sono soggetti soltanto alla legge (articolo 101) nell’opposto principio, secondo il quale sarebbe piuttosto la legge a essere soggetta alla loro sovrana e insindacabile interpretazione (si pensi, per fare solo alcuni esempi, a come la Cassazione, nel caso di Eluana Englaro, abbia letteralmente stravolto il principio giuridico-positivo dell’indisponibilità della vita e a come, ancor più recentemente, qualche fin troppo solerte magistrato abbia autorizzato applicazioni della legge 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita, secondo linee in assoluto contrasto col dettato esplicito della legge stessa). Diverse, ma non meno gravi, le responsabilità della classe politica in questi ultimi decenni. Di fronte alla diffusa consapevolezza dell’urgenza di riforme giudiziarie, essa si è mossa in modo goffo e incoerente, producendo, spesso per torbide ragioni occasionali e non di giustizia, una serie interminabile di 'leggine' in materia civilistica, penalistica e processuale, che hanno incrinato la certezza del diritto e colpito a morte la coerenza del sistema giudiziario. Si è perfino arrivati a dilatare, rendendolo inutilmente pesante e farraginoso, l’articolo 111 della Costituzione, nell’illusione di poter così formalizzare definitivamente i principi del 'giusto processo', ma senza riuscire in alcun modo ad arrestare la crescente sfiducia dell’opinione pubblica nella giustizia. Lungi da me l’illusione di aggiungere una mia alle mille vie risolutive che sono state ipotizzate per uscire da una situazione così disperante. Posso limitarmi a ricordare una sola strada, meno battuta di altre, che per me possiede una forte carica suggestiva: quella di sprovincializzare il conflitto ideologico che tormenta da anni l’Italia, verificando la possibilità di costruire un ordinamento giudiziario europeo unificato, almeno per quei Paesi dell’Unione che trovano le radici dei loro sistemi giuridici nella tradizione del diritto romano. Ferma restando la sovranità giudiziaria dei singoli Stati, l’idea di un impegno per costruire un’unica legislazione processuale potrebbe portare una ventata d’aria fresca in un dibattito così astioso e soffocante, da essere divenuto pressoché incomprensibile a chi segua le vicende italiane dall’estero. Sappiamo che non ci sarà un’autentica Unione Europea fino a quando, unificata la valuta, non sarà unificato il sistema giudiziario: cogliamo e anticipiamo questa occasione. Il passo indietro che un ordinamento giudiziario europeo dovrebbe far compiere ai politici e ai magistrati italiani sarebbe molto vistoso, ma è proprio per questo che non possiamo non ritenerlo tutti necessario e urgente.
Con la consueta lucidità e chiarezza il professor D’Agostino ha sintetizzato le ragioni di una contrapposizione e di una crisi che imprigionano la giustizia italiana da tempo e che negli ultimi 16 anni si sono fatte più drammatiche.
Le cronache di queste ore, a proposito del «legittimo impedimento» e, in modo ancor più emblematico, dell’idea (già naufragata) di ridisciplinare l’uso processuale dei cosiddetti pentiti di mafia non fanno che confermare sterilità e tossicità del dibattito su questioni di enorme rilevanza. Alla 'via europea' per la riforma delle nostre procedure di giustizia che D’Agostino ipotizza da par suo, si potrà forse obiettare di essere indicata con un po’ troppo anticipo ripetto ai tempi d’integrazione reale di una Ue che procede a un claudicante
ralenti, non certo la capacità di sottolineare un problema giuridico, istituzionale e di rapporto Stato-cittadini indicandone la suggestiva soluzione. E se questa legislatura nazionale non saprà essere, come auspicato dal presidente della Repubblica, quella della svolta efficacemente riformatrice e riequilibratice in tema di giustizia e di rapporti tra politica e magistratura, la 'via europea' potrebbe diventare ben più di una suggestione: il percorso obbligato verso una mortificante ultima spiaggia. (mt)








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