giovedì 25 marzo 2010

Avvenire 25/03/2010, Pagina A02

L’EPOPEA DI ENIO, SOPRAVVISSUTO A SANT’ ANNA DI STAZZEMA
Quando un gesto di pietà 'racconta' la follia di una strage

NICOLETTA MARTINELLI

U
n bambino e un adolescente: il primo destinato a essere vittima, il secondo a diventare carnefice. Ma quando c’è di mezzo la libertà dell’uomo, le cose possono cambiare: a Sant’Anna di Stazzema, il 12 agosto 1944, il giovane nazista decise che proprio non poteva – che proprio non voleva – sterminare una famiglia. Puntò la mitragliatrice e fece partire la raffica verso il cielo. Poi abbassò la canna, abbassò gli occhi e fece segno di scappare. Enio Mancini fuggì e con lui la madre, il fratello, due anziane nonne e una zia. È uno dei pochi a essersi salvato dall’eccidio insieme a tutta la famiglia: quel giorno, nel borgo sulla collina in provincia di Lucca, morirono in 560. Per lo più bambini, donne e anziani uccisi da quattro plotoni delle SS, i corpi scelti nazisti.
Da allora Enio non ha mai smesso di cercare il soldato a cui deve la vita: quel gesto generoso – una storia nella Storia – lo ha raccontato sempre, a chiunque avesse voglia di ascoltarlo, in ogni scuola elementare che lo ha invitato, nelle università, nei circoli
cittadini, nelle associazioni culturali.
In Italia e in Germania. E in Germania, sempre, Mancini ha battuto tutte le strade possibili per trovare una traccia del suo benefattore. Di quel ragazzo poco più grande di lui aveva avuto paura fino all’ultimo, non si era fidato mai: quando lo aveva visto imbracciare il fucile era certo di venire ucciso, al rumore degli spari si era sentito morto. Invece venne risparmiato. Perché lui?
Perché non Anna Pardini, uccisa quando aveva vissuto solo venti giorni? E perché non le sorelle dell’amico Enrico Pieri, tutte falciate dal fuoco nazista? O i trenta compagni di scuola mai tornati in classe? Tante domande, nessuna risposta.
A Enio non è rimasto che ricordare, il suo personale modo di ringraziare.
Non immaginava che il giovane soldato che inseguiva, per sopravvivere voleva dimenticare: Peter Bonzelet, adesso Enio sa che si chiamava così, confidò alla moglie quanto era successo a Sant’Anna. E a nessun altro, fino alla morte, nel 1990: quel giorno in Versilia lo ha
accompagnato per tutta la vita – tormentandogli lo spirito e minando la sua salute – perché quel gesto generoso non è bastato a riscattare il resto dell’orrore. A raccontare questa parte della storia è Jochen Kirwel, il nipote di Peter, a cui la nonna prima di morire, lo scorso anno, ha passato il testimone. E anche Jochen, appena conosciuta la vicenda, si è messo a cercare, voleva sapere: di Sant’Anna, dell’eccidio, di quella famiglia salvata, delle tante distrutte.
Su Internet ha trovato la versione che Mancini non si stanca mai di raccontare. Coincideva. Ha preso il telefono e ha chiamato l’Italia, ha parlato con il sopravvissuto che cercava. Domani lo incontrerà a Roma, al Goethe Institute, dove Enio Mancini sarà insignito dalla Repubblica Federale Tedesca di un’alta onorificenza per il suo impegno nella divulgazione di quel che accadde quel giorno a Sant’Anna. Per aver scelto di ripagare Peter Bonzelet raccontando la follia di una strage attraverso un gesto di pietà.





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