Martedì 26 Luglio 2011 CRONACA Pagina 18
SANITÀ. Il responsabile dei camici bianchi risponde a chi accusa i sanitari di base l'intasamento nei reparti d'emergenza«La gente sceglie l'ospedale»
«I pazienti si sentono più sicuri in pronto soccorso, spesso ci vanno proprio durante l'orario di apertura degli ambulatori»
«Dare la colpa ai medici di famiglia per l'intasamento del pronto soccorso o per il fatto che i codici bianchi vanno in ospedale non è giusto. Non è vero che affollano l'ospedale perché non ci trovano o non hanno risposte dalla guardia medica». Michele Valente, presidente dell'Ordine dei medici e medico di medicina generale di lunga milizia, interviene sulla querelle a difesa della categoria. «Si ricorre al pronto soccorso per un problema di insicurezza, di angoscia, di ansia. La gente in ospedale si sente protetta. Chi va in pronto soccorso ha gli accertamenti garantiti in tempo reale e al di là delle liste di attese, la visita cardiologica, l'elettroencefalogramma, gli esami del sangue e dei parametri respiratori, le radiografie, per cui anche se è stato visto d! al medico di famiglia corre in ospedale perché si sente più tranquillo».
La prova ? «In Inghilterra avevano applicato un metodo diretto a ridurre gli accessi dei codici bianchi in pronto soccorso. Agli inizi ha avuto un parziale successo, ma successivamente i codici bianchi in ospedale sono aumentati. Il fenomeno non è sempre controllabile dalla pratica medica. Si è abbassata l'asticella sintomatica della popolazione, la soglia sotto la quale scatta l'allarme». Ma c'è anche una prova molto più vicina. Una ricerca condotta nel Vicentino dagli specializzandi in medicina generale sotto la supervisione di Valente. «Per 6 mesi sono stati verificati gli orari di accesso al pronto soccorso con quelli di apertura degli ambulatori dei medici di famiglia. La conclusione è stata che si va in pronto soccorso proprio durante gli orari di apertura degli studi dei medici di medicina generale o dopo essere passati da noi. Il motivo! è il solito: in ospedale si sentono più sicuri»! ;.
Il problema-anziani - dice Valente - ha acuito il fenomeno. «Sono persone fragili, deboli. Né sul territorio e neppure nelle case di riposo si sentono sufficientemente protetti. Appena scatta qualche insicurezza, anche se il medico di medicina generale va a visitarli a casa, i familiari li portano in pronto soccorso, magari 2-3 volte la settimana. Mettiamo che l'anziano abbia uno scompenso. Se con la terapia che gli ordino migliora, va bene, ma poi se la situazione peggiora e deve fare degli accertamenti per i quali passano dai 20 ai 30 giorni, deve aspettare ogni volta 5-6 ore, deve essere portato con la macchina su e giù, ecco che si utilizza la scorciatoia sicura del pronto soccorso».
C'è anche la mai risolta questione delle liste di attesa, e l'affollamento del pronto soccorso da parte degli stranieri, che secondo Valente ha una spiegazione logica: «La moglie non si muove senza il marito, che è libero solo al termine del lav! oro. Da noi arriva con tutta la famiglia nell'ultima mezz'ora di apertura dell'ambulatorio, ovviamente ci sono accertamenti da fare, non è contento, e allora, ecco, che la sera, ancora meglio nei fine settimana, va in pronto soccorso».
Secondo il presidente dell'ordine, occorre educare la gente: «Non è assolutamente vero che il territorio non sia coperto. Noi siamo quasi tutti organizzati in associazione: c'è sempre uno di noi al mattino e al pomeriggio, poi entra in funzione la guardia medica. La continuità assistenziale è garantita 24 ore su 24. Devono essere le Ulss a distribuire fra i cittadini le carte dei servizi perché la gente sappia come utilizzare correttamente il 118 o il pronto soccorso».
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